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Radici cristiane della vita sociale

L’impulso del Cristo

Questa nascita interiore è l’espressione dell’operare dell’impulso del Cristo nella vita della conoscenza, impulso che riconduce ad unità ciò che era duale, separato dal peccato. L’impulso risanate del Cristo agisce sempre come superamento del peccato, della divisione tra opposti. Per questo Egli deve servirsi sempre di insegnamenti che contengono paradossi, come invito a superare un limite, quello della coscienza che vive nella dualità. Questi insegnamenti sono noti, anche se poco compresi.

Uno di questi, da noi già citato (Mt. 5, 42-45), compare anche in Lc. 6,27: “Ma a voi che mi ascoltate io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per chi vi calunnia”. Polari a queste, si trovano poi le seguenti parole:”Se uno viene a me e non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria stessa anima, non può essere mio discepolo”. (Lc 14, 26)

Amore ed odio cominciano a dialogare tra loro. Ciò che all’essere umano viene spontaneo è amare gli amici e odiare i nemici. A questo provvede per lui l’istinto di natura. In entrambi i casi però ne risulta falsata la relazione con l’essere odiato o amato.

L’odio per il nemico è suscitato dalla rivalità esteriore per il possesso di cose, dall’ambizione per posizioni di potere. Quest’odio gela il sangue, ci rende freddi calcolatori che preparano la vendetta per un torto subito. Amare il nemico è possibile solo se si percepisce in lui un nucleo umano eterno che è in grado di superare i propri limiti. Allora questo amore riscalda ciò che nell’odio gela l’anima e agisce risanando la relazione.

Anche amare i propri amici e familiari è spontaneo, è una naturale reazione al fatto di essere oggetto di cure e attenzioni.

Qui il calore deriva dal sangue e può divenire eccessivo, impedendoci ugualmente di cogliere l’essere dell’altro nella sua essenza, che non è esclusivamente in relazione al nostro benessere. Nella nostra stessa anima vive questo attaccamento, col quale ci identifichiamo.

Possiamo cadere nell’illusione di amare coloro che ci sono naturalmente vicini e amiamo invece il senso di benessere che essi ci consentono di sperimentare. Qui allora l’invito è ad “odiare”, a portare un po’ di distacco, di freddo, che rinfreschi ciò che può surriscaldare l’anima per l’amore suscitato dal sangue.

Possiamo credere che i nostri cari siano parte di noi in quanto lo stesso sangue scorre nelle nostre vene e allora l’amore può divenire possesso e catena. Ma se ci accorgiamo che il nucleo spirituale umano è unico e non deriva da carne e sangue (Gv. 1, 12-13), da ciò che è ereditario, allora possiamo sperare di trovare anche quello dei nostri cari congiunto al nostro da legami più profondi di quello del sangue.

Quanto all’odiare la propria anima, questo appello si può comprendere nel senso della disponibilità a far morire tutto ciò che è legato alle nostre convinzioni, a distaccarci dai nostri sentimenti preferiti, di fronte all’esigenza della verità, che chiama ad una continua trasformazione interiore, per divenire discepoli di Colui che ha detto: “Io sono la via e la verità e la vita” (Gv. 14, 6).

(Fine)

Stefano Freddo

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