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Radici cristiane della vita sociale

Conoscenza e libertà

In sostanza, noi siamo debitori alla morte per il dono della coscienza. Ed essa è il fondamento anche della libertà. Il significato della parola peccato è separazione, allontanamento. Grazie al peccato e alla morte l’uomo vede se stesso, si sente un essere distinto dal mondo, non più inconsciamente congiunto ad esso.

“Conoscerete la verità e la verità vi libererà”(Gv. 8, 32 già citato). Alla luce delle considerazioni precedenti, questo versetto acquista un nuovo significato.

Nell’ottica dell’impulso del Cristo il peccato e la morte non assumono una connotazione negativa in assoluto, ma in senso evolutivo sono un passaggio necessario alla realizzazione della piena umanità.

Nei vangeli questo appare chiaramente in numerosi esempi e insegnamenti. Nella parabola del figliol prodigo, questi sperimenta la propria condizione di peccato, di separazione dal padre, la propria miseria e la sua coscienza si desta.

Ora egli può tornare ad essere figlio ad un grado più elevato. Il figlio maggiore che invece era rimasto a casa, non accetta che il fratello sia accolto facendo festa e contesta il padre misericordioso.

Normalmente nel commentare questa parabola viene posto l’accento sulla misericordia del padre, sul pentimento del figlio minore e vengono comunque condannati sia il comportamento peccaminoso del figlio minore, sia l’atteggiamento del maggiore che rifiuta la misericordia del padre verso il fratello.

Ma le parabole e gli insegnamenti del Cristo non vogliono esprimere giudizi morali. Vogliono solo caratterizzare oggettivamente in forma di immagini determinati processi evolutivi dell’essere umano, in modo che l’ascoltatore possa comprenderne il significato.

Guardando a questa parabola senza moralismo, si può notare come il padre non si opponga alla scelta del figlio minore di andarsene di casa, ben sapendo che questi avrebbe dilapidato il patrimonio guadagnato con tanta fatica. Allo stesso modo egli dà spiegazioni al figlio maggiore che non accetta la sua misericordia, ben sapendo che ciò non basterà a convincerlo.

Anche quest’ultimo, infatti contestando il padre, si è avviato verso il proprio cammino di autonomia; essa sarà conquistata attraverso la separazione e il dolore, che possono essere vissute anche solo interiormente, senza necessariamente manifestarsi in un allontanamento fisico dal padre.

Un’altra parabola, sempre con protagonisti un padre e due figli, vuole darci lo stesso insegnamento (Mt. 21, 28-32). Qui Gesù si sta rivolgendo ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo.

“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo gli disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Egli allora rispose: Non voglio! Ma poi cambiò idea e ci andò. Rivoltosi poi all’altro, gli disse la stessa cosa. Egli rispose: Vado signore, ma non andò.

Chi dei due fece la volontà del padre? Rispondono: Il primo. Dice loro Gesù: In verità vi dico che i pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno dei cieli Infatti è venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto, ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto. Voi invece, pur avendo visto ciò, neppure avete cambiato idea in seguito per credere a lui.”

Anche qui appare che la capacità di obbedire alla volontà del padre, di dire sì, viene conquistata attraverso la possibilità di dire prima di no.

Solo così è comprensibile come mai la parola del Cristo venga accolta dai peccatori e non da coloro che si sentivano giusti perché osservavano delle norme esteriori.

Il peccatore si è distaccato dalla guida della tradizione spirituale e prendendo coscienza della propria condizione comprende il significato e le conseguenze delle proprie azioni. Ora può giudicare ed agire a partire da se stesso, grazie alla coscienza conquistata attraverso l’errore.

Da una lettura superficiale della parabola può sembrare che Gesù condanni i sommi sacerdoti per il loro atteggiamento. Egli in realtà vuole solo aiutarli a comprendere tale atteggiamento.

Non dice infatti che essi sono esclusi dal regno dei cieli, ma solo che i peccatori li precedono. Anch’essi potranno “entrare nel regno”, a condizione di riconoscersi prima peccatori, di riconoscere quale sia la natura del loro peccato, che è quella di credersi giusti, di essere già nel regno, semplicemente aggrappandosi alla sicurezza che deriva loro dalla tradizione passata.

In questo senso essi sono nel peccato, nella separazione dalla realtà della vita, perché non sanno cogliere il divenire della vita stessa, non vogliono attivare le forze di conoscenza e di giudizio individuali necessarie per una tale comprensione.
(continua)

Stefano Freddo

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