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Radici cristiane della vita sociale

Liberare il lavoro

Una volta tolto al lavoro il carattere di merce, esso diverrebbe anche per la coscienza umana ciò che in realtà è sempre stato: il mezzo attraverso cui soddisfare i bisogni umani.

E questa sua caratteristica, in un’economia fondata sulla divisione del lavoro, ne esalterebbe il carattere fraterno. Il reddito minimo garantito, che può essere chiamato reddito di cittadinanza o reddito di esistenza o in altro modo, avrebbe da una parte il compito di dare una concreta soddisfazione al diritto alla vita dei cittadini, dall’altra quello di LIBERARE IL LAVORATORE dalla costrizione di lavorare per sé.

Egli non sarebbe più obbligato ad accettare qualunque lavoro pur di avere un reddito. Potrebbe scegliere il proprio lavoro sulla base delle proprie capacità e secondo le reali esigenze di merci e servizi dei consumatori. Potrebbe inoltre contrattare il suo compenso con l’imprenditore o i collaboratori su una base di parità, secondo il valore che la sua prestazione ha nel complesso della produzione.

Oggi il lavoratore che lavora per il salario perde molto spesso di vista il vero senso del suo lavoro. Egli sperimenta una profonda sofferenza interiore, di cui non sa riconoscere l’origine. Essa è duplice. Egli sente inconsciamente la sua condizione come indegna dell’uomo per il fatto che il suo lavoro è merce. Inoltre lavorare per sé non lo soddisfa per niente, anche se non può affermarlo chiaramente.

In questa esperienza interiore risiede in realtà l’origine dell’antipatia che noi sentiamo verso la parola profitto. Sentiamo inconsciamente che lavorando per il profitto personale, per il salario, perdiamo di vista il senso sociale del nostro lavoro. Accade allora che nel tempo libero ci dedichiamo alla solidarietà, dato che non abbiamo potuto sperimentarla nella vita economica.

Ma questo non elimina la nostra sofferenza. Ci troviamo infatti a condurre una vita sdoppiata, schizofrenica. In una parte della vita cerchiamo di riparare ciò che viene guastato nell’altra.

Se portiamo a coscienza i nostri più intimi impulsi umani, scopriamo che essi sono mossi da un anelito profondamente sociale.

Noi siamo soddisfatti realmente quando siamo coscienti che il nostro lavoro ha senso ed importanza non solo per noi stessi, ma per il mondo e i nostri simili. Una prova evidente di ciò sta nel fatto che moltissimi lavoratori arrivati alla pensione si dedicano ad attività di volontariato non retribuite. Essi si dicono interiormente: “Sono stato costretto per tanti anni a lavorare per me.

Ora che ho un reddito che mi consente di vivere posso lavorare per gli altri, e grazie a ciò mi sento finalmente realizzato!”. E’ possibile sviluppare anche nelle attuali condizioni la coscienza del valore sociale del proprio lavoro. Ma essa è fortemente ostacolata dal ricatto del bisogno personale che genera conflitti e lotta per l’esistenza.

Nella attuale vita sociale, la questione non è di appellarsi moralisticamente al bene comune, alla solidarietà verso il prossimo. Le regole sociali del presente paralizzano e ostacolano continuamente le azioni mosse anche da buone intenzioni.

(continua)

Stefano Freddo

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