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(da oo 159 – 13a conferenza)Conferenza tenuta per la consacrazione del Gruppo IIº di Düsseldorf.

Edita dalla Sig.ra Maria Steiner da una trascrizione non riveduta dall’Autore.

Traduzione di Ida Levi.Düsseldorf, 15 giugno 1915

 

Prima di dar inizio alle nostre considerazioni vogliamo anche oggi ricordare quelli che sono fuori sui campi, ove dal sangue e dalla morte si preparano i grandi eventi del nostro tempo.Spiriti delle Vostre anime, operanti custodi.
Vogliano l’ali Vostre recare il supplice amore delle nostre anime agli uomini terreni affidati a Vostra cura affinché, congiunta al Vostro potere, la nostra preghiera irradi e porti aiuto alle anime che amando essa ricerca.
E per coloro che in seguito a questi eventi già hanno varcato le porte della morte: Spiriti delle Vostre anime, operanti custodi.
Vogliano l’ali Vostre recare il supplice amore delle nostre anime agli uomini delle sfere affidanti a Vostra cura affinché, congiunta al Vostro potere, la nostra preghiera irradi e porti aiuto alle anime che amando essa ricerca.
E lo Spirito che per la salvezza della Terra, per il progresso della Terra e per la libertà della Terra passò per il mistero del Golgotha, lo Spirito che noi cerchiamo attraverso la luce, che impetriamo nella nostra Scienza dello Spirito, sia con Voi e con i Vostri gravi doveri.

 

Oggi ci siamo riuniti, miei cari amici, soprattutto per celebrare la solennità dell’inaugurazione del Gruppo fondato dal nostro caro amico Prof. Craemer, di questo gruppo che vuol consacrare le proprie forze alla vita spirituale del nostro tempo e del futuro nel modo praticato in seno al nostro movimento scientificospirituale. In simili occasioni è sempre bene soffermarsi a pesare al senso che ha questo nostro raccoglierci in singoli gruppi; è bene domandarsi: Perché ci raduniamo in singoli gruppi di lavoro e coltiviamo in seno ad essi il patrimonio spirituale a cui vogliamo dedicare le nostre facoltà? Per poter dare risposta a tale quesito, dobbiamo porre bene in chiaro il fatto che il lavoro qui svolto viene condotto in maniera diversa  sia pur solo in campo di pensiero diverso  da quello che presiede alle nostre altre occupazioni.

Un uomo dei nostri tempi che fosse alieno dal voler penetrare in certe intime verità del progresso spirituale umano, potrebbe domandare: Ma non potreste, anche senza raccogliervi in tanti singoli gruppi chiusi, coltivare la Scienza dello Spirito semplicemente scegliendo in seno ai gruppi stessi dei conferenzieri e, in modo del tutto libero, convocare delle persone, anche persone che non si conoscono tra loro, adunare ed avvicinare alle loro anime il bene spirituale di cui parlate? S’intende che potremmo fare anche così.

Ma fin quando, in senso più lato o più intimo, ci sarà possibile riunire persone che si conoscono, che convengono insieme in questi gruppi di lavoro nutrendo reciprocamente sensi d’amicizia e di fraternità, noi lo faremo con la piena consapevolezza di adeguarci ad intendimenti collegati con la Scienza dello Spirito. Non è difatti senza ragione che nel campo del nostro lavoro, allo scopo di coltivare la parte più profonda del patrimonio spirituale antroposofico, convengono insieme delle persone che promettono a sé stesse di procedere uniti in amore fraterno e in armonia.

E non si tratta unicamente del fatto che ciò ha una certa importanza dal punto di vista del comportamento reciproco, del reciproco rapporto, e che siamo in grado di parlare in tutt’altra maniera se sappiamo di rivolgerci ad anime affini, coscientemente congiunte con noi non si tratta unicamente di questo, ma d’altro ancora. Con l’adunarsi in singoli gruppi noi facciamo in realtà qualche cosa che si collega con tutta la rappresentazione che dobbiamo avere del nostro movimento scientifico-spirituale se lo comprendiamo nelle sue profondità. Il nostro movimento deve cioè pervaderci della consapevolezza che esso non ha solo importanza per quel campo dell’esistenza che i sensi possono abbracciare e che può abbracciare l’intelletto rivolto al mondo esterno. In seno ad esso deve regnare chiara consapevolezza del fatto che per suo tramite le anime cercano un vero e proprio collegamento con il mondo spirituale. Dobbiamo in maniera sempre cosciente tornare a dirci:

Coltivando la Scienza dello Spirito noi trasferiamo le nostre anime nei mondi che non sono solo abitati da esseri terreni, bensì dagli Esseri delle Gerarchie superiori, dagli Esseri dei mondi invisibili. Il fatto di penetrare in certo senso in quei mondi e di compiere un lavoro che ha importanza per essi, il fatto di essere realmente nei mondi invisibili, è quello che deve venirci pienamente a coscienza nell’assolvimento del nostro lavoro.

Ma in verità il lavoro spirituale che compiamo in quanto, conoscendoci, lavoriamo insieme entro singoli gruppi ha per il mondo spirituale tutt’altra importanza che se quel lavoro non venisse compiuto in cotali gruppi, bensì fuori di essi, qua e là nel mondo. Per il mondo spirituale dunque il lavoro compiuto in fraterna armonia in seno ai nostri gruppi, ha tutt’altra importanza di quello che potremmo compiere altrove.

Per intendere pienamente ciò di cui si tratta, dobbiamo richiamarci alla memoria alcune importanti cose che sotto molteplici aspetti già si presentarono davanti alle nostre anime nel corso del lavoro scientifico-spirituale degli scorsi anni. Richiamiamoci dunque alla mente che, per quanto concerne l’uomo, l’evoluzione procedette in maniera che nel periodo post-atlantico essa fu dapprima rappresentata da quella comunità culturale che designiamo col nome di paleo-indiana.

Sappiamo che le fece seguito quella che, con denominazione più o meno appropriata, chiamiamo periodo culturale paleo-persiano. Seguirono il periodo culturale egizio-babilonese, quello greco-romano e infine venne il periodo attuale, il quinto. Ognuno di questi periodi deve da un lato dedicarsi a quanto in fatto di cultura e vita spirituale è suo compito coltivare, ma ognuno di essi deve nel contempo preparare, portare nel proprio grembo, in certo senso, ciò che dovrà affacciarsi nel periodo seguente. Il primo periodo dell’epoca post-atlantica, quello paleoindiano, dovette preparare il paleo-persiano; il paleo-persiano dovette a sua volta preparare l’egizio-caldaio e così via. Il nostro periodo post-atlantico dovrà preparare il sesto periodo, quello che verrà. Abbiamo spesso ripetuto che il nostro compito scientifico-spirituale non consiste unicamente nell’acquisto di un bene spirituale per le nostre anime, tale acquisto dobbiamo certamente farlo, ma non è l’unico scopo, esso ci viene donato per la vita eterna delle nostre anime, ma dobbiamo inoltre preparare quello che dovrà essere il contenuto del sesto periodo di cultura, il suo particolare lavoro nel mondo esterno.

E così fu per ciascun periodo di cultura post-atlantica. Ed i luoghi dove sempre si preparò il più importante contenuto esteriore del periodo susseguente, furono le sedi dei Misteri. Nei Misteri si radunavano quelle accolte di persone che coltivavano cose diverse da quelle coltivate nel mondo esterno. Sapete anche che il compito principale della prima cultura post-atlantica, della cultura paleo-indiana, fu di agire sul corpo eterico umano; attraverso la cultura paleo-persiana si agì sul corpo astrale; attraverso l’egizio-caldaica sull’anima senziente; attraverso il periodo greco-latino sull’anima razionale. Il nostro periodo di evoluzione, e sino al suo termine, porterà a sviluppo quella parte costitutiva dell’essere umano che chiamiamo anima cosciente.

Ma anche ciò che nel sesto periodo formerà il contenuto, il carattere della cultura esteriore va preparato. Questo sesto periodo paleserà invero dei tratti molto diversi da quelli del nostro tempo! Possiamo in modo particolare segnalare tre caratteri di esso che sappiamo di dover sin d’ora portare nel cuore come ideali, che sappiamo di dover preparare. Oggi in seno alla comunità umana non esiste ancora una cosa che nel sesto periodo esisterà in coloro che avranno raggiunto le mete del periodo stesso, che non saranno rimasti indietro. (Non dunque negli uomini che rappresenteranno i malvagi e i barbari di quel tempo). Uno dei caratteri principali degli abitanti della Terra nel sesto periodo di cultura – di quelli dunque che saranno all’altezza dei tempi – sarà un carattere morale. Di esso poco ancora si avverte nell’umanità odierna. Oggi bisogna che un uomo fruisca di una organizzazione particolarmente delicata perché la vista di persone meno fortunate di lui, generi dolore nella sua anima.

Certo, alcune persone dotate di natura particolarmente delicata sentono sin d’ora dolore al cospetto del dolore effuso su molti nel mondo, ma deve appunto trattarsi di persone organizzate in modo particolarmente organizzato. Durante il sesto periodo di cultura coloro che avranno raggiunto il livello dei tempi non proveranno solo quel sentimento di pena che oggi alcuni provano al cospetto della miseria, del dolore e della povertà effusi nel mondo, ma sentiranno come dolore proprio il dolore altrui.

Ciò a cui ora accenno come ad una differenza tra il quinto periodo e il sesto è un carattere morale. Come il benessere di un singolo organo umano dipende dalla salute dell’intero corpo, e se l’intero corpo non è sano, anche il singolo organo non sarà in condizione di assolvere questa o quella attività, così nel sesto periodo di cultura un elemento comune afferrerà l’umanità civile, l’umanità colta, e il singolo parteciperà in misura molto maggiore che non oggi al dolore, a tutti gli stenti, alla povertà ed anche alla ricchezza altrui.

Questo è il primo tratto che caratterizzerà la cosiddetta umanità civile del sesto periodo, ed è un tratto essenzialmente morale. Un secondo tratto fondamentale sarà che tutto ciò che chiamiamo materia di fede” dipenderà in assai maggior misura dalla individualità del singolo. La Scienza dello Spirito caratterizza questa condizione dicendo che in campo religioso nel sesto periodo gli uomini saranno afferrati da anelito a libertà di pensiero, svilup peranno libertà di pensiero, in guisa che tutto quello che un uomo vorrà credere, ciò di cui principalmente sotto l’aspetto religioso vorrà aver convinzione, rientrerà nel dominio della sua propria forma individuale. Comunanza di fede quale oggi ancor spesso esiste nelle singole accolte umane, non esisterà più in quella parte dell’umanità del sesto periodo che sarà allora considerata civile. Ognuno sentirà come caratteristica necessaria degli uomini che in loro regni piena libertà di pensiero in campo religioso.

E la terza cosa sarà che gli uomini del sesto periodo di cultura riterranno di possedere delle vere cognizioni solo se possederanno delle cognizioni spirituali, se riconosceranno che nel mondo è effuso lo Spirito e che le anime umane devono congiungersi con esso. Quello che oggi è chiamata scienza e che come scienza ha colorito materialistico, nel sesto periodo non porterà più quel nome. Sarà anzi considerato come una vecchia superstizione propria soltanto degli uomini che si saranno fermati al gradino del quinto periodo di cultura, ormai superato.

Oggi, per esempio, riteniamo trattarsi di vecchia superstizione se il negro dice che dopo la sua morte nessun membro deve venir scisso dal suo corpo, perché se ciò accadesse, egli non potrebbe entrare tutto intero nei mondi spirituali. Il negro congiunge ancora il pensiero dell’immortalità con rappresentazioni puramente materialistiche, crede cioè che nel mondo spirituale debba penetrare come una specie di calco della sua forma fisica. Pur credendo nell’immortalità, egli pensa dunque in fondo materialisticamente, mentre noi oggi sapendo attraverso la Scienza dello Spirito che l’ente spirituale deve separarsi dal corpo, e che esso soltanto entra nei mondi spirituali, dobbiamo considerare come superstizione quella credenza materialistica nell’immortalità.

Nel sesto periodo ogni fede materialistica, anche se confermata dalla scienza, sarà considerata superstizione. E apparirà del tutto ovvio ritenere scientifici soltanto quegli insegnamenti, come la Scienza dello Spirito, che avranno la loro base sulla pneumatologia, sul sapere spirituale. Vedete che la nostra Scienza dello Spirito è assolutamente indirizzata a preparare le condizioni pur ora menzionate. Noi cerchiamo di coltivare la Scienza dello Spirito per superare il materialismo, per preparare quello che nella sesta epoca dovrà regnare come scienza. Fondiamo delle comunità umane in cui tutto, ma proprio tutto, deve erigersi sulla libera adesione delle anime alle relative dottrine, e per tal via prepariamo quello che la Scienza dello Spirito chiama libertà di pensiero. E col raccoglierci in riunioni fraterne per coltivare Scienza dello Spirito, noi prepariamo quello che in fatto di cultura, di civiltà dovrà compenetrare il sesto periodo post-atlantico. Ma per intendere pienamente ciò che sono le nostre fraterne assemblee, dobbiamo immergere ancor più addentro lo sguardo nell’andamento dell’evoluzione umana.

Anche nel primo periodo, quello che poi dominò durante il secondo, venne coltivato in seno a comunità che avevano il carattere di Misteri. Ciò dunque che più tardi dominò come purificazione del corpo astrale venne già preparato in particolari associazioni del primo periodo di cultura, dell’antica India.

Ci porterebbe troppo lontano descrivere quello che, prescindendo da quanto si faceva per la cultura esteriore, veniva compiuto in quelle particolari associazioni allo scopo di preparare l’epoca culturale paleopersiana. Una cosa però va detta: quando a quel tempo gli uomini si adunavano allo scopo di preparare ciò che si sarebbe poi verificato nella seconda epoca, essi sentivano quanto segue: Ancora non fu conseguito, ancora non è fra noi quello che in mezzo a noi sarà quando nel veniente periodo di cultura le nostre anime si saranno reincarnate; ciò sta ancora come librato sopra di noi. E così era effettivamente. In quel primo periodo di cultura ciò che solo nel secondo avrebbe dovuto discendere dal Cielo sulla Terra stava ancora librato sulle anime, al di sopra delle anime.

E nei Misteri le cose venivano predisposte in maniera che, attraverso il lavoro compiuto in ristrette cerchie sulla Terra, ascendevano verso le Gerarchie Superiori le forze mercé le quali esse potevano coltivare ciò che come contenuto del corpo astrale era destinato a fluire nelle anime umane durante il secondo periodo, il paleopersiano. Si vorrebbe dire che esistevano allora allo stadio infantile le forze che poi, alquanto cresciute, discesero nelle anime incarnate nei corpi dell’antica Persia. Lassù nel mondo spirituale ricevevano l’alimento del lavoro umano compiuto sulla Terra allo scopo di preparare il successivo periodo di cultura e, mercé quanto per tal modo ascendeva dal basso, vennero preparate e forze destinate al futuro.

Questo deve verificarsi in ognuno dei periodi culturali che si susseguono. E per quanto riguarda il nostro periodo, dobbiamo essere ben consci che quello che deve evolvere in noi per effetto della civiltà, della cultura ordinaria, è l’anima cosciente, è ciò che a partire dal XVº e XVIº secolo cominciò ad afferrare gli uomini come coscienza esteriore materialistica e che sempre più largamente si diffonderà sino al termine del quinto periodo di cultura, quando sarà compiutamente ed in ogni parte sviluppato. Quello che dovrà afferrare il sesto periodo di cultura è il Sé Spirituale. Esso dovrà allora venir sviluppato nelle anime come ora in esso si sviluppa l’anima cosciente. Ma è proprio del Sé Spirituale premettere l’esistenza nelle anime dei tre caratteri dei quali ho parlato: convivenza sociale fraterna, libertà di pensiero, pneumatologia. Una comunità umana in cui venga sviluppato il Sé Spirituale, come attraverso la cultura esteriore del nostro quinto periodo postatlantico viene sviluppata l’anima cosciente, abbisogna di quei tre caratteri. Possiamo quindi dire che, mentre ci raccogliamo fraternamente nei nostri gruppi, sul lavoro in esso compiuto sta in certo qual modo librato ciò che è come lo stadio infantile delle forze del Sé Spirituale che vien coltivato e curato dagli Esseri delle Gerarchie Superiori, per poter un giorno fluire nelle nostre anime quando esse saranno tornate sulla Terra nel sesto periodo di cultura.

Nei nostri fraterni gruppi di lavoro svolgiamo un’attività che ascende verso le forze preparatrici del Sé Spirituale. Vedete dunque che solo attingendo al patrimonio di saggezza della nostra Scienza Spirituale possiamo comprendere quello che propriamente facciamo riunendoci in questi nostri gruppi di lavoro. E questo pensiero, il pensiero che il lavoro ivi svolto non viene unicamente compiuto nell’interesse della nostra propria egoità, bensì anche perché esso ascenda nei mondi spirituali, è quello che conferisce a tali gruppi il giusto carattere sacramentale. E mentre coltiviamo in noi questo pensiero, noi ci compenetriamo del senso di consacrazione che conferisce una base al singolo gruppo di lavoro in seno al nostro movimento scientifico-spirituale.

E’ pertanto di somma importanza che afferriamo spiritualmente il fatto che, oltre a coltivare la Scienza dello Spirito, scienza pneumatologica, oltre a voler erigersi su libertà di pensiero, a non professare alcun dogma, nulla che assomigli a un articolo di fede, i gruppi nei quali ci raduniamo debbono svolgere il loro lavoro in un’atmosfera di fraterna comunità. Tutto dipende dall’accogliere realmente nella nostra coscienza questo pensiero di comunità, e dal dire a noi stessi: In qualità di anime oggi noi apparteniamo al quinto periodo post-atlantico ed in esso evolviamo in forme individuali traendo sempre più l’elemento personale fuori dalla vita della comunità; ma oltre a ciò dobbiamo sentire, quasi magica atmosfera dei nostri gruppi di lavoro, una comunità superiore fondata sul libero amore fraterno.

Vedete, il profondissimo significato della cultura dell’occidente europeo risiede nello sviluppo dell’anima cosciente durante il quinto periodo di cultura postatlantica. Compito della cultura dell’Europa occidentale ed ancor più dell’Europa centrale è di evolvere sempre più una cultura, una coscienza individuale. Questo è ciò che importa nel presente. Facciamo un raffronto tra il nostro periodo culturale e quello della Grecia e di Roma. Ci apparirà con particolare evidenza come nel periodo culturale greco regnasse ancora una condizione d’anima di gruppo, una coscienza di anima di gruppo regnava precisamente tra i più civili dei Greci. Colui che era nato ad Atene ed ivi viveva si sentiva anzitutto Ateniese. Questa comunione con una città e con quanto ne faceva parte aveva per il singolo ben altra importanza che non ne abbia oggi una comunità umana. Oggi l’uomo vuole uscire fuori dalla comunità e questo è il giusto compito del quin to periodo post-atlantico.

A Roma l’uomo era anzitutto cittadino romano, questo era ciò che egli si sentiva in primo luogo. Ma nel corso di questo nostro quinto periodo post-atlantico è venuto il tempo in cui nel nostro più intimo essere vogliamo soprattutto essere uomini, uomini e null’altro che uomini. Gli eventi che oggi ci fanno così dolorosamente sperimentare questo ergersi degli uomini gli uni contro gli altri sono solo una reazione all’incessante sforzo del quinto periodo di cultura verso la libera formazione dell’elemento universale umano.

Attraverso l’attuale ostile isolarsi in sé dei singoli paesi e dei singoli popoli deve, si vorrebbe dire, attraverso l’urto contro l’ostacolo, deve tanto più svilupparsi la forza mercé la quale l’uomo diverrà compiutamente “uomo”, la forza che lo fa crescere fuor da qualsivoglia comunità. Ma, per riscontro, egli deve tornare a preparare delle comunità, delle comunità edificate su basi pienamente consapevoli e nelle quali durante il sesto periodo di cultura egli entrerà liberamente, che egli stesso si eleggerà.

Come un alto ideale ci sta in prospettiva la comunità che dominerà nel sesto periodo e nella quale gli uomini civili, nelle loro anime, staranno uno accanto all’altro come fratelli e sorelle. In seguito alle numerose conferenze tenute negli scorsi anni sappiamo come nell’Europa Orientale viva un popolo che durante il sesto periodo sarà chiamato a portare a particolare sviluppo le forze elementari a lui proprie, sappiamo cioè che nel sesto periodo soltanto il popolo russo sarà maturo per sviluppare pienamente le forze elementari sin d’ora insite in lui. L’Europa occidentale e quella centrale sono chiamate ad introdurre nelle anime umane quello che può venirvi introdotto attraverso l’anima cosciente, e a ciò non è chiamato l’oriente. L’Oriente europeo dovrà attendere sino a quando il Sé Spirituale potrà discendere sulla Terra e compenetrare le anime. Questo lo abbiamo spesso accennato e va compreso nel suo vero senso. Falsamente compreso, può appunto in Oriente assai facilmente indurre in superbia e in orgoglio. Il vertice della cultura post-atlantica può già venir raggiunto nel quinto periodo post-atlantico. Ciò che seguirà nel sesto e nel settimo periodo di cultura rappresenterà una evoluzione discendente. Tuttavia, durante questa evoluzione discendente, la cultura verrà attraversata e permeata dal Sé Spirituale. Istintivamente (spesso, vorrei dire, istintivamente in modo errato) l’uomo nato in Oriente, colui che gli “intelligenti” della sua terra chiamano “l’uomo russo”, sente che così stanno le cose, solo che per lo più ne ha una assai oscura consapevolezza. E’ già caratteristico il fatto che abbia tante volte potuto affiorare questa espressione: “l’uomo russo”. Un genio domina nel linguaggio quando da esso viene attinta una siffatta espressione e non si dice, come in occidente “l’inglese, il francese, l’italiano, il te desco”, bensì “l’uomo russo”. E molti intellettuali russi danno peso al fatto che si dica sempre “l’uomo russo”. Ciò ha una profonda base in tutto il genio della relativa cultura.

Con quella espressione si intende invero quello che, come elemento umano, per così dire come elemento fraterno, sta effuso sopra una comunità. A questo si vuol accennare con l’espressione “uomo”. Ma si mostra al contempo di non essere ancora alla piena altezza di ciò che dovrà venire in futuro in quanto all’espressione “uomo” si aggiunge un attributo che in fondo è in contrasto col sostantivo. Si dice “l’uomo russo” e con l’aggettivo si ritira in certo senso quello che con il sostantivo si era detto. Quando una vera comunità umana sarà stata raggiunta, essa non potrà far uso di alcun aggettivo che torni a trasformarla in alcunché di particolare, di esclusivo. Ma appunto nei rappresentanti dell’”intelligenza” russa, il sentimento che in futuro dovrà regnare una certa idea di comunità, di fraternità vive in modo assai profondo. Sotto questo riguardo l’anima russa sente sin d’ora: Sì, il Sé Spirituale un giorno dovrà discendere, ma esso potrà unicamente discendere entro una comunità umana pervasa di fratellanza. E’ per questa ragione che gli “intellettuali russi” (come essi si chiamano) sollevano contro l’Europa occidentale e la centrale, il seguente biasimo: “Voi non tenete in stima la vita di comunità, coltivate unicamente l’individualismo, tra voi ognuno vuole essere una persona a sé, vuol solo essere una individualità”.

Questo è ciò che muove incontro all’Europa centro-occidentale attraverso molti biasimi che dall’Oriente la tacciano di barbarie ecc. E quelli tra i russi che vogliono divenire particolarmente consci della realtà della situazione, dicono: “Ah, l’Europa occidentale e la media, hanno davvero perduto ogni sentimento dei rapporti umani”, e confondendo il presente e il futuro aggiungono: “Veri rapporti umani nei quali ogni uomo si sente fratello dell’altro uomo, e dove quegli che sta ad un gradino superiore viene sentito come piccolo padre e piccola madre, vera vita di comunità esiste unicamente in Russia!”. Così dice “l’intellettuale russo” e aggiunge: “Al Cristianesimo dell’Europa occidentale non riuscì di coltivare una vera comunità umana. Il russo conosce ancora la comunità”. Ed un così eccellente intellettuale russo come Alessandro Herzon 1 , vissuto nel 19º secolo trasse l’estrema conseguenza di tal fatto e disse: “Nell’Europa non potrà mai esservi bene; per quanti tentativi si possono fare, in grembo alla cultura ed alla civiltà dell’Europa occidentale, ivi non regnerà mai bene; l’umanità non potrà mai essere contenta; potrà solo regnare il caos; l’unico bene sta nella natura russa, là dove gli uomini non si sono ancora staccati dalla comunità, dove nei raggruppamenti dei villaggi esi ste ancora qualcosa come un’anima di gruppo alla quale essi si attengono”.

Ciò che chiamiamo anima di gruppo e da cui l’umanità si è gradualmente tratta fuori, l’anima di gruppo in cui vive ancora completamente la specie animale, ciò è quello che gli intellettuali russi onorano nel loro popolo come alcunché di particolarmente grande e importante. Essi non possono sollevarsi al pensiero che ciò che deve stare davanti a noi come un alto ideale è la comunità fraterna del futuro. Si aggrappano al pensiero: “Restiamo fermi a ciò che per ultimi a noi è rimasto; in Europa gli altri si sono già sollevati fuori dall’anima di gruppo, noi l’abbiamo ancora conservata, dobbiamo conservarla”. In realtà quella condizione non dovrà più esistere in futuro perché essa rappresenta l’antica forma dell’anima di gruppo.

Sarebbe solo una forma luciferica, mentre la vera anima di gruppo verso la quale dobbiamo tendere è quella ricercata in seno alla nostra Scienza dello Spirito. Ma appunto dalla brama, dall’aspirazione dell’uomo russo, principalmente dell’intellettuale, si può riconoscere come per la discesa del Sé Spirituale occorra lo Spirito della Comunità. Come in Russia esso viene unicamente ricercato su falsa strada, così in grembo alla nostra corrente scientifico-spirituale esso deve venir cercato nella giusta direzione. E noi vorremmo gridare verso l’Oriente: “proprio ciò che voi con mezzi esteriori cercate di mantenere la vecchia comunità luciferico-arimanica, noi dobbiamo superarla sino in fondo. Nell’ambito della comunità luciferico-arimanica dominerà una costrizione religiosa così severa come quella che la Chiesa Cattolica russa di rito ortodosso dovette fondare. Quella forma di comunità non capirà quel che sia libertà di pensiero, e meno ancora potrà assurgere a libertà di pensiero congiunto a convivenza sociale fraterna. Perciò essa vorrebbe conservare quanto è rimasto come comunità di sangue, comunanza attraverso il solo sangue. Una comunanza invece che non si fondi sul sangue, bensì sullo Spirito, sull’affinità delle anime, è quello che si deve ricercare sulla via scientifico-spirituale. Ed è ciò a cui tendiamo dicendo: “dobbiamo aspirare a delle comunità in cui il sangue non parli più”.

Esso continuerà naturalmente ad esistere, si esplicherà in connessioni familiari, quello che deve conservarsi non verrà sradicato, ma alcunché di nuovo deve sorgere. Quello che è importante nel bambino si conserverà nelle forze del vecchio, ma qualche cosa di nuovo deve aggiungersi. Non si deve pensare che le forze conferite dal sangue debbano abbracciare le grandi comunità del futuro. Il grande errore che dall’Oriente opera negli odierni sanguinosi eventi è che una guerra venne accesa sotto l’etichetta della comunità di sangue dei popoli slavi.

Nella nostra epoca grave di destino opera tutto quanto ho pur ora spiegato, ma quest’epoca racchiude tuttavia anche un sano nocciolo e cioè il sentimento istin tivo che il Sé Spirituale può solamente comparire in seno ad una comunità fraterna. Non in una comunità di sangue, bensì in una comunità di anime. Ciò che si svilupperà come comunità di anime, ciò che deve esistere, noi lo coltiviamo nel suo stadio infantile nelle nostre comunità di lavoro, nei nostri Gruppi. La tendenza che, come si verifica nella Europa orientale, s’attiene a quanto ha carattere di anima di gruppo e caratterizza, per esempio, l’anima di gruppo slava come quella da cui non vuole uscire, che vuole anzi riguardare come il principio che deve abbracciare tutta la struttura statale, quella tendenza, appunto, è ciò che dobbiamo superare. E come un grande, come un immenso simbolo sta davanti a noi il fatto che i due Stati dai quali prese le mosse la guerra, la motivano l’uno con la comunità di sangue (così la Russia con tutto lo slavismo) mentre l’altro Stato, quello che sta di fronte alla Russia, comprende tredici nazionalità ufficiali e tredici lingue di stato. In Austria, l’ordine di mobilitazione dovette venir promulgato in tredici lingue perché vi sono adunate tredici popolazioni (tedeschi, cechi, polacchi, ruteni, rumeni, magiari, slovacchi, serbi, croati, sloveni (i quali parlano anche un particolare slovenovolgare) bosniaci, dalmati e italiani).

In Austria, prescindendo da tutte le differenziazioni minori, sono dunque adunate tredici stirpi. Questo fatto, lo si riconosca o no, dimostra che l’Austria è formata da un’accolita di persone fra loro congiunte da qualcosa che non potrà mai venir stabilito sulla base di comunità di sangue. Da tredici stirpi sanguigne sorge ciò che vive entro quei singoli confini. Si vorrebbe dire che lo Stato maggiormente suddiviso d’Europa sta di fronte a quello che più aspira all’anima di gruppo, a conformità. Ma questo tendere all’anima di gruppo porta ancora delle altre conseguenze. E qui arriviamo ad un’altra cosa che vogliamo considerare nella sua importanza. Già nella conferenza pubblica di ieri 2 ho menzionato come uno dei più eminenti spiriti della Russia, il grande filosofo Solov’ëv. Solov’ëv è davvero uno spirito eminente, ma uno spirito del tutto russo e come tale egli è difficilissimo da comprendere dal punto di vista dell’Europa occidentale.

Ma gli antroposofi dovrebbero conoscerlo. Coloro che coltivano la Scienza dello Spirito dovrebbero conoscerlo, dovrebbero potersi sollevare ad una certa comprensione di Solov’ëv. Bene, voglio ora presentare alle vostre anime un’idea, vorrei anzi dire l’idea principale e centrale di Solov’ëv. Vorrei presentarla dal nostro punto di vista antroposofico. Solov’ëv è troppo profondamente un filosofo per poter così senz’altro adottare per sé il concetto dell’appartenenza all’anima di gruppo. Quel problema gli suscita delle difficoltà ed egli s’impiglia in varie contraddizioni. Tuttavia, sebbene in maniera non del tutto cosciente, egli è dominato da un’idea fondamentale. Ne è talmente dominato che si deve dire: Ah se Solov’ëv fosse pienamente chiaroveggente, se egli potesse sapere sin d’ora quello che comprenderà soltanto nel sesto periodo di cultura quando la sua anima tornerà a incarnarsi sulla Terra! L’idea che fin dal suo punto di partenza riesce di difficilissima comprensione all’uomo dell’Europa occidentale e media, è un’idea fondamentale in Solov’ëv. Ed è precisamente questa: Vedete, noi nell’Europa occidentale, in quello che coltiviamo in vista del sesto periodo di cultura, cerchiamo fra le molte altre cose di comprendere la morte nel suo significato per la vita.

Cerchiamo di capire come la morte sia l’apparire di una particolare forma di esistenza, che con la morte l’anima passa ad altra forma di esistenza. Descriviamo come l’uomo viva entro il suo corpo e quale vita egli conduca poi tra morte e rinascita. Cerchiamo di trionfare della morte comprendendola, mostrando che è mera apparenza, che in realtà pur mentre passa attraverso la morte, l’anima vive. E questo cercar di trionfare della morte comprendendola, è per noi una delle cose essenziali. Ma qui ci troviamo ad uno dei punti in cui la ricerca antroposofica si differenzia totalmente da quella che è la concezione di questo grande spirito russo, di Solov’ëv.

Egli pensa: Vi è del male, vi sono cose cattive nel mondo, il male esiste. Se coi nostri sguardi guardiamo al male, a ciò che è cattivo, non possiamo negare che il mondo ne è tutto pieno. Ciò – dice Solov’ëv – parla contro il presupposto che il mondo sia divino. Come infatti, se si guarda il mondo con i sensi, poter credere che sia divino dal momento che un mondo divino non può avere l’aspetto del male? Tuttavia i sensi vedono il male ovunque, ed il male massimo è la morte. Per il fatto che nel mondo regna la morte, esso si palesa in tutta la sua malvagità.

Questa è la caratteristica del mondo data da Solov’ëv. Egli dice: – cito alla lettera – Guardate il mondo con i soli sensi; cercate di comprenderlo con il solo intelletto. Per quella via non potete mai negare che vi siano dei mali nel mondo. E voler capire la morte sarebbe una cosa assurda, la morte esiste, essa si mostra. Una conoscenza fondata sui sensi non potrà mai comprendere quello che sia la morte. E pertanto, la conoscenza sensibile ci palesa un mondo cattivo, un mondo di mali. Possiamo noi – dice Solov’ëv – possiamo noi credere che questo mondo sia divino quando esso si mostra pieno di mali? Quando ad ogni istante ci pone davanti la morte? Non potremo mai credere che sia divino un mondo che ci presenta la morte. Se dunque Dio venisse nel mondo – continua Solov’ëv – se Dio venisse, se si presentasse nel mondo, potremo noi così senz’altro credere che sia un Dio? No, non potremmo crederlo… dovrebbe prima legittimarsi, dovrebbe prima presentare come un documento cosmico, qualche cosa attraverso cui poterlo riconoscere, per poter dire: Questi è Dio! Ed una tal cosa, nel mondo, non possiamo trovarla.

Attraverso quello che vi è nel mondo, Dio non può legittimarsi perché tutto quello che vi è nel mondo contraddice la divinità. Con che cosa potrà dunque legittimarsi? Lo potrà unicamente fare dimostrando che è vittorioso sulla morte, che la morte non può aver presa su di lui. Non crederemmo mai che il Cristo sia Dio se non si legittimasse. Ed Egli si legittimò in quanto risorse, in quanto mostrò che il male maggiore, la morte, non ha presa su di Lui. (Qui abbiamo dunque una coscienza del divino unicamente edificata sulla vera, storica risurrezione del Cristo la quale legittima Dio nella sua divinità).

Nessun’altra cosa nel mondo, all’infuori della resurrezione ci dà garanzia dell’esistenza di Dio. “Se il Cristo non fosse risorto, tutta la vostra fede sarebbe vana”, questa è la parola di Paolo3 che più di ogni altra ricorre negli scritti di Solov’ëv. Se guardiamo il mondo, in esso vediamo ovunque male, decomposizione e insensatezza. Se Cristo non fosse risorto, il mondo non avrebbe alcun senso. Dunque Egli è risorto. Prestate attenzione a questo periodo perché è uno dei periodi fondamentali di uno dei maggiori spiriti dell’Oriente. “Se Cristo non fosse risorto, il mondo non avrebbe senso, dunque Egli è risorto”. Solov’ëv disse ancora: Ci potranno essere degli uomini i quali credono che sia logico affermare: se il Cristo non fosse risorto, il mondo non avrebbe senso, dunque Egli è risorto. Si tratta tuttavia – dice Solov’ëv – di una logica molto migliore di ogni altra che essi potrebbero opporvi”.

Mediante questa singolare esigenza di un documento che legittimi la divinità di Dio, vi ho mostrato concretamente, attraverso Solov’ëv, in quale singolare modo i pensieri si arrampichino per affermare ciò attraverso cui Dio palesa direttamente la sua divinità. Come altrimenti si presentano le cose in Occidente e nella media Europa! Verso quale meta volgiamo noi la ricerca antroposofica? Cercate di abbracciare con lo sguardo tutto quanto coltiviamo nell’ambito della Scienza dello Spirito, cercate di abbracciarlo.

Che scopo ha, verso quale fine tendiamo? Mediante il sapere, la conoscenza, vogliamo – ma in maniera da potercene rendere ben conto – vogliamo riconoscere che il mondo ha un senso, che il mondo ha un significato, che in esso non sono unicamente decomposizione e male.

Direttamente attraverso la conoscenza vogliamo comprendere che il mondo ha senso. Ed è proprio attraverso la comprensione del fatto che il mondo ha senso, che vogliamo prepararci a sperimentare in noi l’Essere Cristo. Vogliamo afferrare il Cristo vivente. Come un dono del Cristo, vogliamo accogliere tutto ciò. Noi sappiamo che tutto ciò può esserci dato conforme la parola: “Io sono con voi ogni giorno fino al termine dei tempi”4. Egli può sempre venir trovato come essere vivente. Vogliamo vivere in Lui, accoglierlo in noi. “Non Io, ma il Cristo in me”5. Vogliamo per suo mezzo conoscere che ovunque guardiamo, ivi è senso.

 

Questo Faust voleva dire quando espresse la sua concezione del mondo con le parole:

“Spirito sublime, tutto mi desti di cui io ti pregai. Non invano mi hai rivolto il tuo viso entro il fuoco. Tu mi hai dato per regno la magnifica Natura e la forza per sentirla e per goderla. Non mi permetti soltanto che io in fredda ammirazione la contempli, ma anche mi concedi di guardare nel suo seno profondo come nel cuore di un amico. La serie dei viventi fai passare davanti a me, e mi insegni a conoscere i miei fratelli nell’aria, nell’acqua e nella silente macchia. E quando la tempesta crepita e mugghia nella selva, e il gigantesco pino abbatte e stritola i rami e i tronchi vicini e alla sua caduta risponde il colle con rombo sordo e cupo, Tu mi conduci sicuro alla caverna e mostri me a me stesso, e profonde e segrete meraviglie si rilevano entro il mio cuore”

 

Vogliamo spiritualmente comprendere quello che è esterno e quello che è interiore, comprendere ogni cosa ed anche la stessa morte come passaggio da una forma di vita ad un’altra. E mentre così cerchiamo il Cristo vivente, noi lo seguiamo anche attraverso la morte e la resurrezione. Non prendiamo le mosse dalla sua resurrezione, come fa l’uomo dell’Oriente europeo, noi seguiamo il Cristo dal quale ci facciamo ispirare, il Cristo che accogliamo nelle nostre concezioni spirituali immaginative. Seguiamo il Cristo fino alla morte, non lo seguiamo solo dicendo: Ex Deo nascimur bensì diciamo anche: In Cristo morimur. Studiamo ed osserviamo il mondo e sappiamo che il mondo è il documento attraverso il quale Dio manifesta la sua divinità.

Noi che in Occidente vogliamo sperimentare e comprendere la spiritualità che opera nel mondo, non possiamo dire: abbiamo bisogno di un documento che comprovi la venuta di Dio nel mondo – ma ovunque cerchiamo Dio. Ed è per questa ragione che la quinta cultura postatlantica ha bisogno di ciò che coltiviamo nelle nostre fraterne riunioni di gruppo. Essa abbisogna della coltivazione cosciente di quell’aura spirituale ancora librata sopra di noi, che viene cura ta dagli Spiriti delle Gerarchie superiori e che fluirà nelle anime umane quando queste vivranno nella sesta epoca. Non vogliamo, come l’Oriente, volgerci a qualcosa di morto, all’anima di gruppo, alla forma di comunità rimasta indietro. Vogliamo, sin dal suo stadio infantile, coltivare quello che è vivente e cioè lo Spirito di Comunità dei nostri gruppi. Non vogliamo ricercare e coltivare in una qualsivoglia comunità quello che rumoreggia nel sangue per radunare soltanto coloro nel cui sangue si fa sentire un elemento comune, volgiamo adunare gli uomini che sentono di essere fratelli e sorelle e sopra i quali sta librato ciò che essi intendono coltivare quando seguono gli insegnamenti della Scienza dello Spirito e sentono sopra di loro aleggiare il buon Spirito della fraternità. Questo è ciò che come consacrante pensiero accogliamo al primo aprirsi di uno dei nostri Gruppi.

Con quel pensiero consacriamo un gruppo quando lo fondiamo. Comunità e vita. Comunità ricerchiamo sopra di noi, in noi stessi il Cristo vivente che non abbisogna di alcun documento, a cui non occorre dimostrare la propria divinità mediante un documento, mediante la Resurrezione. Per noi il Cristo è dimostrato perché lo sperimentiamo in noi. Queste parole eleggiamo a nostra divisa, a nostro motto consacratore, quando fondiamo un Gruppo. E sappiamo: se due o tre o sette o molti sono in questo senso riuniti nel nome di Cristo, in loro il Cristo vive.

E tutti coloro che in questo senso riconoscono il Cristo come loro fratello, sono fratelli tra di loro. Ed il Cristo vuole riconoscere come proprio fratello colui che riconosce come fratelli gli altri uomini. Se saremo in grado di accogliere in noi questo motto consacratore e attendere al nostro lavoro col sentimento che da esso fluisce, allora nel nostro lavoro dominerà il vero spirito del nostro movimento scientifico-spirituale. Anche in questo difficile momento un certo numero di amici di fuori sono convenuti tra noi per unirsi a coloro che hanno qui fondato il loro Gruppo.

E’ sempre una bella consuetudine. Perché in tal modo anche quelli che lavorano in altri gruppi vi portano i pensieri consacratori, il motto consacratore. Ed essi fanno solenne proposito di tornar sempre a pensare a quelli che in seno ad un Gruppo si sono vicendevolmente promessi di lavorare insieme nello spirito del nostro movimento.

E per tal modo cresce e sempre più cresce quel che vogliamo fondare come invisibile comunità attraverso il carattere che è proprio del nostro lavoro. Allora, se congiunto al nostro lavoro un tal sentimento sempre più si propaga, noi adempiamo a ciò che per il progresso dell’umanità la Scienza dello Spirito esige da noi. E nell’assolvimento del nostro lavoro ci sarà lecito credere che in mezzo a noi sono gli Esseri che, quali grandi Maestri di saggezza, guidano dai mondi spirituali il progresso umano ed il sapere uma no. In quanto a voi che qui lavorate, lavorate secondo gli intendimenti della Scienza dello Spirito, io so che i grandi Maestri che dal mondo spirituale guidano il nostro movimento, saranno in mezzo a voi con il vostro lavoro. Da questo punto di vista invoco oggi la forza e la grazia e l’amore dei grandi Maestri della saggezza che dirigono e guidano il lavoro che in riunioni fraterne compiamo nei nostri Gruppi. Invoco che la grazia, invoco che la forza, invoco che l’amore di questi grandi Maestri della saggezza che stanno in immediato rapporto con le forze delle Gerarchie superiori, discendano anche sul lavoro di questo Gruppo.

Possa quello che è il vostro buon Spirito, o Grandi Maestri, e quello che è il buon Spirito del nostro movimento scientificospirituale, essere con questo Gruppo. Possa in esso dominare ed agire.

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