Sempre più spesso si sente parlare di “sovranità” come una azione che tende a riportare ai popoli, alle nazioni, alcune caratteristiche che si ritengono perdute.
Si sente così dire della perduta sovranità monetaria in conseguenza di una moneta unica in mano a grandi gruppi finanziari e non alle banche centrali degli stati. Ci si lamenta della eccessiva invadenza della burocrazia europea che annulla la sovranità politica dei cittadini dei singoli stati inficiando risultati elettorali. E che dire della sovranità doganale che di fatto, accettando la globalizzazione selvaggia, ti riempie il mercato interno di carabattole a bassissimo prezzo di scadente qualità, se non dannose, provenienti da paesi senza tutela alcuna per i lavoratori? E non ci è rimasta neppure la sovranità territoriale, visto che le frontiere non esistono più e chiunque può andare e venire a proprio piacimento.
Ma sembra che a nessuno venga in mente che siamo letteralmente orfani della prima sovranità che deve avere un popolo, un gruppo sociale per sopravvivere e avere una ragionevole speranza per il futuro. Questa è la Sovranità alimentare.
Credo lo capisca chiunque che tutte le civiltà, escluse le transumanti e quelle che vivevano di rapina, brigantaggio o pirateria, hanno potuto costruire la loro grandezza su uno sviluppo agricolo che ha permesso loro di evolvere programmando i tempi futuri con una organizzazione annonaria di prim’ordine.
Pensiamo ai Persiani, agli Egizi, ai Romani e in ultimo al grande impero continentale degli Asburgo che, con la grande riforma agraria di Maria Teresa poi copiata dal suo “concorrente” Federico 1° di Prussia, permise il mantenimento di un tenore di vita del popolo e una organizzazione dello Stato che ancora si ricorda.
Non ritengo casuale che quell’epoca e quelle terre abbiano dato i natali ad un Goethe, ad un Liebig e ad uno Steiner! Ma veniamo ai giorni nostri e in particolare ad un tempo collocato tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 con la mia esperienza diretta qui in Friuli, terra di contadini che emigravano per fare i muratori e che ebbe una civiltà agricola basata sulle Latterie Sociali Turnarie che garantirono per un secolo, e con due Guerre Mondiali, l’organizzazione agricola di base che dava le derrate necessarie alla alimentazione di un popolo.
La Latteria Sociale era la “banca” del paese e la “moneta” aveva la dimensione della forma del formaggio. Un campo di terra valeva come una mucca e in quelle condizioni, alla fine degli anni ’30, il sistema funzionava bene con una economia reale che faceva girare poco denaro ma viveva abbastanza bene, attuando una autarchia sostanziale in quanto tutto il sistema economico era, si direbbe oggi, a km 0.
Il “secondario” formato dal tessuto artigiano viveva in funzione di quanto creava l’agricoltura. Il sistema resse anche nel dopoguerra ma l’influenza USA si fece sentire e molti settori un poco alla volta si “americanizzarono”. Interessante sarebbe uno studio sulla nostra dipendenza dalle farine nordamericane, dalla tipologia del pane 00, dalla influenza sulle regole sanitarie.
Così, passo dopo passo, arriviamo alla fine degli anni ’60 dove accadono due fatti che scollegheranno definitivamente il mondo agricolo dal suo popolo e la terra dalla sua gente. Il primo atto è l’approvazione della Riforma Sanitaria Nazionale che delega allo Stato la dettatura e il rispetto delle norme sanitarie che prima erano di competenza del Sindaco, che le espletava attraverso l’Ufficiale Sanitario che era generalmente il vecchio medico del paese. Capite da voi che il sistema era semplice, costava poco, poca burocrazia con procedure rapide.
Troppa grazia per un Paese che voleva portare il “terziario” burocratico al governo del Paese. Purtroppo questa sciagurata impresa è riuscita e adesso hai voglia che il Paese riparta con questa palla al piede della burocrazia! Questa demenziale politica ha portato anche un altro effetto che è stato l’abbandono delle campagne con conseguente “industrializzazione” della agricoltura. Alla fine abbiamo per i campi quattro contadini che producono cibo di bassa qualità,…quando lo producono e non vada per far corrente elettrica!
Quasi conseguente a questo stato di cose accadde qualcosa negli Stati Uniti che cambiò la loro politica estera e, incidendo di conseguenza anche sulla nostra politica nazionale, avrebbe aggravato di fatto la perdita della nostra “sovranità alimentare”.
Gli USA allora erano impelagati nella guerra del Vietnam e cercarono di uscirne trovando un’altra maniera di dominare il mondo senza l’impegno bellico. In tal senso ad un certo signor Henry Kissinger, tuttora vivente, venne la bella idea di ampliare il sostegno ai propri alleati e futuri clienti fornendo una amicizia interessata che desse tecnologia e modernità USA in cambio delle concessioni energetiche e la collaborazione in campo agricolo. Si chiama “dottrina Kissinger” ed è legge approvata dal Congresso USA che detta le direttive della politica estera e che mai nessun Presidente si è sognato di abolire.
In poche parole controllando le fonti energetiche e l’agricoltura gli americani hanno potere sul mondo. Ma l’agricoltura sono i semi ed oggi chi controlla il mercato e la produzione dei semi? Ricordo bene quando la Jugoslavia di Tito ci vendeva ottimo seme di mais prodotto nella zona di Varazdin sotto il confine ungherese.
Dalla sera alla mattina quel seme sparì per essere rimpiazzato dai semi USA in cambio di trattori e macchinari agricoli di cui la Jugoslavia aveva tremendo bisogno per rimpiazzare i catorci russi. Molto semplice,vero? Da quel momento in poi ci fu un crescendo di annichilimento delle economie locali anche in conseguenza della cosi detta “globalizzazione” che ora col TTIP (ovvero il Trattato transatlantico USA-UE sul commercio e gli investimenti – Transatlantic Trade and Investment Partnership) alle porte e pronto alla firma metterà una definitiva pietra tombale sulle nostre agricolture.
A questo punto cosa si può fare per poter vivere dignitosamente senza distruggere la terra e dare un ragionevole margine di speranza alle generazioni future? Semplice: come prima cosa adottare un metodo agricolo totalmente sostenibile, e dunque ben oltre il biologico attuale, che sia in grado di rivitalizzare i semi per l’autoproduzione abbandonando la chimica e tutta la sua “corte dei miracoli” fatta di professori, tecnici e commercianti che ci vivono alla grande.
Secondo: riportare a livello locale nelle Amministrazioni Comunali la capacità dei Sindaci di essere i primi responsabili della salute e dell’ordine pubblico in loco.
Solo se si porta a coscienza dei propri cittadini la gravità del problema si può ragionevolmente supporre di affrontarlo con una alleanza stretta tra loro e gli agricoltori che dovranno produrre quanto necessario. Altro utile stimolo verrà destinando terre pubbliche ai giovani che vogliono affrontare l’arte agricola in maniera innovativa e responsabile creando di fatto una nuova epoca ambientalista capace di dimostrare coi fatti che solo una agricoltura sostenibile può generare futuro.
Allora sì che saremo capaci di stare assieme, accogliere stranieri (che siano turisti o no), dare un cibo vitale che allenterà la spesa sanitaria e, lavorando la terra, avere un lavoro dignitoso e utile per tutti.
Graziano Ganzit