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ll nono anno: l’uscita d Paradiso

il bambino  percepisce  se stesso e sviluppa la moralità:

quali sono le immagini giuste per lui e come accompagnarlo in questo crescita

 

Come gia accennato nei precedenti articoli il ritmo del “sette” scandisce le fasi evolutive della nostra vita: a sette anni circa inizia la seconda dentizione, a quattordici anni comincia la pubertà, a ventuno si è adulti, consapevoli di sé. In queste fasi di crescita si possono riconoscere dei momenti importanti, dei punti focali propri dell’evoluzione dell’individuo: ne è esempio il nono anno, una fase critica in cui il bambino vive una completa riorganizzazione del proprio essere, una trasformazione significativa della sua vita animica e della sua esperienza corporea.

I bambini, in modo più o meno evidente, prima di questa fase hanno vissuto nella cosiddetta “età dell’imitazione”, ora invece sentiranno e vivranno maggiormente tematiche quali la morte, la giustizia, il destino, ecc.

Prima di questa fase il bambino, essendo un “tutt’uno” con il mondo, non aveva avuto modo di sperimentare la solitudine. Ora avviene un cambiamento: si compie il passaggio dall’ inconsapevolezza infantile ad una nuova coscienza.

Il bambino percepisce la separazione dal mondo dello spirito.

Esteriormente non trova i legami che lo riportano ad esso e vive una sorta di “uscita dal paradiso”. In questa fase si ritrova in una nuova condizione:  percepisce la terra come “pura “materia”, slegata dalla vita.

Tutto questo avviene attraverso un “sentire” animico, non certo in una comprensione intelluutuale

Solitudine e crescita

In questa delicata fase i bambini per la percepiscono cosciamente per la prima volta “l’essere solo”. Già all’età di due-tre anni il bambino aveva sperimentato una condizione simile nel momento in cui cominciava a percepire la propria individualità e ad usare per la prima volta la parolina “lo” . Ora, però, dopo circa sei-sette anni, questo processo si ripropone in maniera più evidente.

Proprio grazie a questo suo sentirsi separato dal mondo, il bambino sperimenta la percezione di “sé” come individuo.

Prima  viveva se stesso immerso nel tutto, come un grande “mare”, ora invece si sente più una “goccia”, e nella sua anima sorgeranno forti moti malinconici. E’ un momento di passaggio: egli percepisce la vicinanza del mondo dell’infanzia appena abbandonato e al contempo vede svanire l’atmosfera di “magia” che fino ad allora aveva fatto parte del suo vivere (se genitori ed educatori non si sono premurati di “disilluderlo” inaridendo il suo animo con spiegazioni razionali-scientifiche sul mondo ed i suoi perchè ).

In questo delicato momento il bambino deve sentire che questo “mondo  magico” (che non è altro che il mondo spirituale) lo sta aspettando metamorfosato nel suo futuro, e sarà questa certezza incoscia a dargli la fiducia necessaria per superare il passaggio dell’infanzia ad una nuova età .

“Chi non accoglie il Regno di Dio come un fanciullo non vi entrerà” (Le 18, 17).

La voce dell’Angelo

Grazie a questa esperienza di solitudine si fa strada nel bambino una voce interiore, il suo “Io Superiore”, la voce dell’Angelo in lui, ed in questo particolare momento egli deve essere guidato da educatori e genitori    (con il cuore, non con parole e spiegazioni).

Le immagini migliori che si possano dare al bambino in questa fase della vita le possiamo trovare nella Bibbia, con la storia della creazione e della cacciata dal Paradiso Terrestre; egli le ascolte­rà con grande attenzione.

li nostro compito è di porre un germe affinché possa in lui svilupparsi la sua voce interiore, che ora percepirà solo come sensazio­ne. Come fare? Noi stessi, educatori e genitori, dovremmo vivere interiormente ed esteriormente quel passaggio che ci rende capaci, da uomini impulsivi limitati alla sfera delle nostre simpatie ed antipatie, di superare i nostri egoismi e cercare sempre il giusto equilibrio per dar spazio in noi stessi al nostro “Io Superiore”.

Quello che il nostro bambino deve percepire non è il risultato di questo “lavoro”, ma il cammino interiore da noi intrapreso.

Osservando e vivendo i nostri sforzi, egli troverà la giusta forza per affrontare con serenità questo passaggio.

Un valido aiuto lo apporta una pedagogia attenta a questi delicati momenti della vita del bambino.

Il metodo pedagogico proposto da Rudolf Steiner consiglia di portare al bambino durante il suo nono anno il sentimento che la Terra non è un arido sasso, bensì un essere vivente del quale le piante sono parte integrante, così come i capelli lo sono per la testa, e dove l’uomo rappresenta il sunto armonico ed il superamento di tutti i Regni. Portare tutto questo, non con “spiegazioni” ma facendolo vivere pienamente al bambino, darà un sano impulso alla sua volontà ed egli verrà così inserito nel mondo secondo gli elementi essenziali della propria natura. Se osserviamo gli uomini d’oggi li vedremo girare nel mondo come fossero sradicati dal tutto, in modo disordinato, non comprendono ciò che nella vita è bene fare, ed identificano nei computer, nei cellulari e in altri dispositivi tecnologici gli unici strumenti d’azione ostentando grandi capacità nel loro utilizzo. Ma se consideriamo questi stessi uomini all’atto pratico e in modo più profondo, ci accorgeremo che non sanno cosa fare di se stessi.

Tutto questo trova anche radici nell’età scolare: è frutto di un metodo d’insegnamento poco attento, che non ha saputo portare con calore e concretezza le giuste relazioni tra pianta e terreno (la pianta è un tutt’uno con la Terra) e tra animale e uomo (l’uomo supera in sé il regno animale). Ciò porta a sentirsi “sradicati” ed in preda alle nostre passioni animaesche, perché non troviamo in noi la forza di superarle nel nostro Io. (Per ulteriori informazioni si veda di R. Steiner, “L’educazione come arte”, ed. Antroposofica).

Tra bambino e ragazzo

li bambino in questa fase di vita spesso si atteggia da ometto, lo sguardo che prima era candido e noncurante ora si fa più seno ed introverso: pare che solo ora presagisca la solitudine insita nel suo personale destino, che solo lui potrà indirizzare e completare.

Albeggia in lui il sentimento del proprio Sé, la consapevolezza della propria unicità che non può più derivare dal padre o dalla madre; questa consapevolezza maturerà poi nell’adolescenza. Ora il ragazzo seleziona coloro dai quali accetta di farsi guidare e su chi riporre o meno la propria fiducia: nasce in lui “il senso morale” e solo da ora potremo cominciare a fare i primi appelli alla sua coscienza.

Considerato ciò educatori e genitori credono di potersi relazionare con lui come con un adulto: nulla di più sbagliato! E’ importante riconoscergli questa sua nuova maturità, ma bisogna ricordare che è ancora un bambino: non possiamo, ad esempio, offenderci se lui ci fa notare in maniera esplicita i nostri limiti e difetti grazie al suo “nuovo” senso critico.

NOTA:

Le varie tappe evolutive del bambino sono variabili, ci si può orientare sugfi anni a scopo indicativo, ma stiamo parlando di processi viventi individuali soggetti a variazioni.

Il clima, l’ambiente, eventuali traumi o “disegni” di vita singolari possono spostare queste soglie; dovremo essere noi da coscienti educatori, a comprendere quale fase stia attraversando in un preciso momento il bambino.

Per quanto tutto ciò possa sembrare banale e ovvio, spesso succede che l’adulto si faccia prendere da moti interiori di stizza, nervosismo O antipatia; attenzione, è proprio in queste situazioni che va esercitato il nostro “lo superiore”, la voce dell’Angelo in noi. Solo così il bambino può crescere riconoscendolo interiormente.

Nel caso d’un problema creato dal bambino, padre e madre assieme, pieni di partecipazione interiore, dovrebbero stargli vicino portando nel cuore la certezza che la tenebra possa trasformarsi in luce; loro stessi dovrebbero avere fiducia e speranza che questo momento buio passi.

Naturalmente all’errore del bambino si deve trovare rimedio, magari interrogando il bambino stesso, facendogli esprimere una sua opinione a riguardo, appellandosi al suo senso morale, cosa che precedentemente non era possibile.

Ad esempio: il bambino ha litigato brutalmente con un suo compagno, I genitori potrebbero fermarsi un momento a riflettere sulla situazione e farsi raccontare dal bambino il suo errore.

Con serietà chiederanno il perché di quel gesto (così come noi adulti lo facciamo con noi stessi quando sbagliamo), esterneranno la loro tristezza ma fiduciosi che a litigare non è stato il “Re” che è in lui (il suo “Io superiore”) bensì un antipatico gnometto, un suo “doppio”, la sua parte “ineducata”.

Si faranno poi dire dal bambino come ha intenzione di rimediare all’ accaduto, ed assieme troveranno un’adeguata soluzione. In questi casi il bambino deve traversare una soglia di maturità e consapevolezza che può superare solo per mano di un adulto, perchè attraverso quella soglia si perviene in una zona animica dove l’adulto, se è stato veritiero con se stesso, trova la forza di trasformare la tenebra in luce.

Dove due o più sono uniti nel mio nome IO sono in mezzo a loro’

Questo atto apporta grandi, Forze di Vita al bambino, poiché egli è appena uscito dal mondo dell’infanzia, e ha la necessità di sperimentare tramite noi quella strada che gli permette di crescere con la giusta forza per superare il male, metamorfosare la tenebra, per poter trovare fiducia amore e speranza nel futuro. Questo germe diverrà pianta nell’adolescente, che uscirà definitivamente dal Paradiso Terrestre diventando in grado di discernere il Bene dal Male, e dovrà iniziare ad affrontare il mondo per conquistarsi la forza del suo lo.

Enzo Nastati

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