Risposta a una domanda (da oo 337b) Dornach, 6 settembre 1920
Se oggi si parla dei compiti più immediati che riguardano l’umanità, occorre veramente parlare di compiti che riguardano l’umanità intera, poiché ci troviamo in un momento in cui è necessario guardare oltre gli stretti confini nazionali, oltre le barriere dei popoli, ai grandi compiti umani. Spesso ho parlato delle diverse differenziazioni degli uomini sulla faccia della terra civilizzata, e ho detto: L’Oriente (che io estendo a volte fino all’Asia) è soprattutto la patria della vita spirituale, la quale però è venuta a manifestazione nella sua purezza in epoche antiche dell’evoluzione umana, e poi è decaduta ed oggi vi è contenuta, ma come retaggio vive veramente nell’Europa Centrale e nelle regioni occidentali.
Quando dico: nelle regioni medio-europee esistono prevalentemente, dall’antica Grecia in poi, le facoltà per ciò che è giuridico-statale; se dico: nelle regioni occidentali esistono, dall’inizio dei nostri tempi, specialmente i talenti per il pensare occidentale, intendo che dalla natura di questi popoli estesi sulle regioni corrispondenti sorge la particolare disposizione per una cosa o per l’altra. Intendo però che oggi abbiamo il compito di fare appello alla Scienza dello Spirito, che poi suscita dall’uomo le facoltà universali, le triplici facoltà; di fare appello alla Scienza dello Spirito per non continuare più oltre a coltivare le cose in questa unilateralità.
Oggi noi dobbiamo ricordare che cosa avviene quando l’orientale resta unilaterale, dobbiamo ricordare che cosa avviene quando l’uomo delle regioni di mezzo e quando l’uomo delle regioni occidentali restano unilaterali. L’evoluzione appunto non può progredire se l’unilateralità continua a sussistere. Perciò non si dovrebbe veramente chiedere quale compito abbiano per l’avvenire i singoli popoli. Non i popoli, l’Umanità avrà dei compiti! E’ necessario entrare in merito ai compiti speciali solo per meglio comprendere questi compiti generali, come essi si siano preparati nel corso della storia, a ciò che si è affermato con speciale forza qua o là, ma che ora deve venir riunito con altre facoltà dagli uomini. Insomma, per comprendere come le cose di oggi debbano venir conformate in senso più universale fuori da tutte le differenziazioni dell’evoluzione umana.
E’ importante in sommo grado di entrare in questo ordine di idee, poiché appunto ciò che in questo modo esiste, e che deve venir superato, si deve imparare a conoscere a fondo. Ora sono rimasti a sussistere, vorrei dire, dei frammenti di popolo di essenza molteplice, framezzo a quei popoli che costituiscono per così dire l’essenza fondamentale di uno dei tre territori mondiali. E’ tutt’altro che facile parlare di questa essenza fondamentale in modo antropologico.
Solo la contemplazione antroposofica delinea in modo giusto la categoria. Solo per mezzo di questa possiamo dire giustamente: ciò che si sviluppa in occidente ha questa facoltà, ciò che si sviluppa in oriente ha quella facoltà, e ciò che si sviluppa nel centro ne ha quest’altra. Se procediamo antropologicamente, vale a dire dal punto di vista del sangue, allora cadiamo subito in questioni che sono assolutamente non-pratiche, che non portano a riconoscere con speciale chiarezza nulla che sia veramente pratico per la vita. In sostanza, se si volesse sostituire l’espressione “l’oriente europeo” col dire invece “il popolo russo”, si direbbe appunto qualche cosa di privo di importanza veramente pratica per la vita. Si tratta appunto di partire da categorie tutte diverse da queste puramente antropologiche o etnografiche. Orbene, i piccoli frammenti di popoli hanno le più svariate disposizioni appunto pel modo in cui sono sorti.
Osserviamo per esempio un piccolo popolo come i Magiari, i quali hanno una specie di entità razziale turanica, ma in essa hanno attraversato le vicende più molteplici e sono raggruppati come in un triangolo geografico intorno al Danubio. Naturalmente se volessimo addentrarci nella missione di un tale frammento di popolo, potremmo elencare ogni sorta di belle missioni. Ma si dovrebbe partire da tutt’altri punti di vista se si volesse ad esempio parlare dei Bulgari, in certo modo apparentati coi Magiari secondo il sangue, ma che hanno attraversato una metamorfosi di slavizzazione e non sono invece apparentati coi Magiari riguardo all’etnografia linguistica; sicché qui in certo modo l’elemento slavo è stato innestato animicamente anche nel linguaggio sopra il sangue turanico.
Così giungiamo naturalmente in campi che devono venir considerati da tutt’altri punti di vista, penetrando in questi elementi antropologici e non antroposofici. L’unica cosa che risulta a una considerazione antroposofica è all’incirca questo: prescindendo affatto da talune cose non prodotte dalla Storia che vivono in questi frammenti più che non nei grandi popoli, vive in tali frammenti molto fortemente, almeno come disposizione, un elemento internazionale e si può proprio dire: se questi singoli piccoli popoli (spesso sono popoli marginali o simili) riuscissero a prendere conoscenza dei grandi compiti dell’umanità, essi potrebbero farlo con la massima facilità. Sarebbe ad esempio una cosa straordinariamente bella se i Baltici si dedicassero a sviluppare appunto come compito internazionale molte facoltà giacenti in essi.
Invece hanno spesso preferito coltivare la massima reazione, fino al punto che in epoca relativamente recente in un Parlamento Baltico fu ancora fatta la proposta di introdurre su vasta scala la schiavitù. Ma, come ho detto, in questi popoli marginali vi sarebbe la miglior preparazione appunto per qualche cosa di cosmopolita libero da ogni elemento sciovinistico, purché essi sviluppassero queste loro attitudini. Invece oggi viviamo in un momento in cui l’uomo ama terribilmente avvolgersi di nebbia, in cui l’uomo anela fortemente con anelito incosciente, malsano, di trasportarsi in un’atmosfera nebulosa e di avvolgersi in ogni sorta di illusioni. Allora si parla di questa o quella missione, che appunto l’uno o l’altro di questi popoli dovrebbe avere.
Ora, è certamente necessario quando si proceda antropologicamente di scoprire molte cose nei substrati di un’anima di popolo, ma appunto nei piccoli popoli dovrebbe venire ad espressione questa attitudine: di lasciare confluire tutte le disposizioni esistenti in un grande stile cosmopolita di cui abbiamo tanto bisogno. Inoltre io qui devo sempre pensare che cosa avrebbe significato se un grande compito internazionale-cosmopolita fosse stato afferrato nel 1914 dal popolo svizzero.
Questo afferrare un tale grande compito da parte di un paese relativamente piccolo avrebbe nell’evoluzione spirituale del mondo a un dipresso questo risultato: che molte cose graviterebbero intorno a questo fatto, come le valute europee gravitano intorno alla valuta svizzera.
Ma oggi tutto è come coperto da una nebbia, e la gente non riconosce le cose che hanno un valore reale nel momento in cui l’uomo le conosce. Oggi si ha ancora sempre l’atteggiamento di chiedere: qual è il compito che io ho per il fatto di appartenere a questo o quel popolo, per il fatto di essere nato a Amburgo o a Breslavia o a Berlino, Vienna, Roma? Quale missione mi è toccata per questo fatto? Molto più importante sarebbe chiedere: quale forza mi viene dal fatto di essere nato qua o là? Quale forza mi conferisce questo per la missione comune internazionale-cosmopolita di tutta l’umanità oggi, tanto necessaria? Gli uomini vorrebbero ingannarsi chiedendosi: quale missione ho io? E poi mettendosi ad aspettare.
Aspettare all’incirca così come l’uomo che stava con la bocca aperta in attesa che i piccioni arrostiti gli volassero in bocca. Ma non è questo di cui si tratta oggi, di aspettare la nostra missione, ma di renderci conto che ci troviamo in un punto dell’evoluzione dell’Umanità in cui il destino del mondo deve venir generato dall’intimo dell’uomo, in cui devono cessare le antiche chiacchiere d’una missione, là dove invece l’uomo è chiamato a dare un contributo al destino generandolo in sé stesso in modo immediato ed elementare.
Se oggi cominciamo queste chiacchiere passive sulla missione che ci sta dinanzi, e se non cessiamo di dire continuamente: Sì, ma gli Dèi devono pure aiutare, le cose non possono andare avanti così, con tante ingiustizie, gli Dèi dovranno pure ecc. ecc. – se non la finiamo di dire così non andremo avanti nel momento attuale dell’evoluzione dell’umanità. Oggi si tratta di rendersi conto che dobbiamo cercare gli Dèi attraverso l’interiorità dell’uomo (non dico nell’interiorità dell’uomo, ma attraverso) e che gli Dèi contano su di noi per determinare il destino in collaborazione con loro.
Oggi le questioni non possono essere risolte osservando questo o quello dal punto di vista delle sue radici, bensì dal punto di vista della volontà. I problemi che prima erano di contemplazione, oggi sono problemi di volontà. Se prima si arrivava alla contemplazione approfondendosi in ciò che risultava alla riflessione, oggi il compito occulto è quello di accogliere nel nostro volere lo spirito invisibile e soprasensibile, affinché possa nascere nell’umanità ciò che va oltre tutte le singole barriere. I territori statali esteriori hanno portato le cose al punto che oggi non si possono quasi più passare i confini.
Se continueremo sempre a chiedere quale compito ha questa o quella parte di popolo, continueremo a erigere nel nostro spirito barriere che non potremo oltrepassare per giungere ad afferrare il compito complessivo dell’Umanità. Per quanto terribile sia, in ultima analisi ha meno importanza dove siano i confini ora tanto difficili da varcare, e per i quali è stato combattuto così sanguinosamente nello spazio esteriore, ciò è terribile, ma molto peggio per l’evoluzione dell’Umanità è configurare le nostre menti così da chiederci quale missione abbia questo o quel frammento di popolo. Dobbiamo arrivare oltre i confini, dobbiamo cancellarli e trovare l’elemento umano comune per collocarci col nostro volere su questo terreno dell’universalmente umano.
A questo proposito si può dire che si trovano in migliori condizioni coloro che non appartengono a un grande popolo, poiché se si concentrano sulle loro forze più profonde, potranno contribuire molto all’internazionalizzazione e alla cosmopolizzazione dell’Umanità. Questo è il compito di coloro che si possono in certo modo chiamare i piccoli Stati o gli Stati marginali.